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La Belle Dame de Saint-Merci

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La Saga di Perceval ed il Santo Graal

Indice

 

Chretien de Troyes, autore delle Saghe Arturiane

Come si è spesso detto che Chretien per inventare qualcosa di nuovo abbia copiato qualcosa di vecchio, Perceval non fece eccezione tra le sue opere, egli si ispirò probabilmente alle leggende arturiane preesistenti in Inghilterra, figlie della tradizione popolare e della mescolanza delle culture celtica e cristiana. Infatti, un tempo i racconti erano sacri e magici; ed erano costruiti attorno ad eventi o imprese del passato; a quell’epoca però i racconti venivano ricordati a memoria e poi recitati. Ora invece le creazioni della fantasia vengono messe per iscritto nel momento stesso in cui sono composte. Era già accaduto prima, al tempo in cui erano fiorite le grandi civiltà di Roma e della Grecia, e anche nell’Impero d’Oriente, a Bisanzio, c’erano stati autori che avevano scritto i loro romanzi: era dunque possibile immaginare e scrivere, quasi simultaneamente. Quando si scriveva un racconto ci si aspettava che fosse letto, anche ad alta voce o comunque individualmente e il lettore, l’ascoltatore o ancora lo spettatore si dovevano immaginare gli eventi alla stessa maniera in cui l’autore li aveva immaginati e descritti. Un po’, se vogliamo, come guardare insieme un film, ma senza cavi e senza televisioni: tante menti connesse a quella dell’autore, le stesse immagini e le stesse emozioni. Almeno questo era ciò cui ambiva Chretien de Troyes, l’autore di una delle opere più lette, riscritte, elaborate e continuate nella storia della letteratura, medievale e non solo. Siamo verso la fine del XII secolo e il nostro autore non è più giovane per i suoi tempi, ha tra i quaranta e i sessant’anni, ma ha conservato una mente giovane e una fervida fantasia e sta componendo la sua ultima opera che però non continuerà perché morirà prima, lasciando così ad altri l’eredità più grande, il mistero più antico e l’onere più importante: continuare la storia del Santo Graal e del suo cavaliere, Perceval. Mentre sappiamo molto ad oggi delle opere di Chretien di lui sappiamo quasi nulla e in un poema si firma con uno pseudonimo, li Gois, ma essendo stato trovato in un solo poema è difficile stabilire ancora oggi se si tratti della stessa persona. Chretien era traduttore di Ovidio, dunque era un uomo colto e sembra che conoscesse molto bene i poeti classici, cosa praticamente impossibile fino al secolo prima. Scriveva inoltre in un ambiente che traboccava di stimoli intellettuali, nuove idee e nuovi ideali. Chretien non lavorava chiuso in una conventicola di studiosi come si potrebbe pensare ad un primo impatto, considerato anche che era un chierico, no: egli era un cantore della classe emergente dei cavalieri dei quali cantava le lodi e i cui ideali egli stesso in qualche misura aveva inventato. Celebra le gesta eroiche della cavalleria in tempo di pace, tornei piuttosto che guerre e in questo si differenzia notevolmente dalla contemporanee chanson de geste.

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Un mondo tra il reale e l’immaginario: il mondo del Le Conte du Graal

La scrittura e le opere di Chretien per certi versi rappresentarono una novità in campo letterario e il soggetto delle sue opere non era la guerra, la monotona descrizione, spesso arricchita di monologhi, di battaglie con morti, feriti, lamenti, partenze senza ritorno per terre senza nome. Chretien solleva il velo e parla dell’amore, in tutte le sue forme anche se pare che, per sua stessa ammissione nelle opere scritte, abbia provato un certo disagio a parlare di amore lussurioso e carnale tra gli amanti come Lancillotto e Ginevra e Tristano ed Isotta. L’amore adultero non faceva parte del suo repertorio e andava in parte contro la morale, specie se consideriamo che lui ci tiene a farci vedere e sentire quello che lui vede e sente mentre immagina e scrive. Nell’Erec ed Enide l’autore parla di un amore coniugale con tanto di iniziazione dei protagonisti che non solo sono due sposi, ma al tempo stesso due amanti che trascorrono molto del loro tempo in “giochi d’amore”. Essi entrano in conflitto quando lui, per dimostrare alla corte ed alla sua stessa sposa che l’amore non lo rammollisce, la porta con sé facendole giurare che mai avrebbe proferito parola o l’avrebbe punita. La donna è dunque spesso combattuta tra il rompere il giuramento per salvare la vita del marito o tacere e lasciarlo morire in balia dei nemici che quando la vedono ben volentieri vorrebbero rapirla e farne la propria amante. Anche nel Le Conte du Graal ci sono storie d’amore, ma il protagonista è quello per certi versi messo peggio di tutti quelli presenti nelle opere di Chretien e ci si trova davanti ad un ragazzo che sa appena di essere al mondo e la sua iniziazione, il suo risveglio, avverrà nel contesto cavalleresco più che nel contesto dell’amore coniugale e carnale (abbandona le donne che incontra, con la promessa di tornare e non torna mai). In genere il filo conduttore delle opere di Chretien è l’evoluzione di una relazione amorosa o della personalità di un personaggio – come Perceval o Parsifal – e le meraviglie e le avventure di cui sono costellate servono semplicemente per movimentare la storia e tenere viva l’attenzione del pubblico. E di meraviglie e di avventure ce ne sono in abbondanza. Se infatti la capacità di indagine psicologica può essere il frutto della sua conoscenza dei poeti classici, mentre le corti e i padiglioni riflettono il reale mondo in cui viveva, non c’è dubbio che nei racconti di Chretien ci sia anche qualcosa di nuovo. Con la conquista normanna dell’Inghilterra del 1066, da un punto di vista anche politico il mondo latino e quello dei principati celtici, ancora indipendenti, per la prima volta vennero direttamente in contatto. I racconti leggendari facevano parte dell’ambiente di Chretien, ma si trattava dei molteplici elementi che lo costituivano; anzi, dal suo punto di vista, erano i meno interessanti. Chretien aveva i piedi saldamente piantati per terra, come abbiamo visto, quello che gli stava particolarmente a cuore era la descrizione realistica della personalità dei suoi personaggi e lo studio dell’amore; tutti i suoi romanzi ruotano attorno ad un eroe o un’eroina, tutti tranne forse l’ultimo. Il tema centrale di ogni racconto è l’evoluzione del loro amore, che Chretien analizza in monologhi che descrivono i sentimenti e gli stati d’animo dei protagonisti. Anzi, ad un certo punto crea una situazione in cui l’eroina è coinvolta in un’immaginaria discussione con il suo innamorato per stabilire le condizioni esatte delle sue emozioni, come in Yvain. Laudine [1] discute con l’eroe assente, che è anche l’assassino di suo marito, per arrivare a scoprire se l’innamorato l’abbia deliberatamente ferita e dunque sia indegno del suo amore. Questo artificio è la chiave di Chretien, che ambienta i suoi racconti in quello che vorrebbe essere un lontano passato, mentre in realtà è una descrizione acuta della vita e dei costumi della corte a lui contemporanea. Per altro tutte le vicende sono inserite nel contesto della fantastica corte arturiana, ad eccezione di una delle prime opere, Cligès, tuttavia, persino in questa c’è una partentesi alla corte di Artù, nel corso della quale Perceval, che ben presto incontriamo come protagonista del romanzo del Graal, fa la sua prima comparsa in letteratura [2]. Chretien aveva bisogno di materiale in cui ammantare le sue idee perché lo scenario fosse adeguato anche al periodo storico in cui immaginava che fossero ambientate le varie vicende. Le storie che ruotavano attorno ad Artù, storie che probabilmente conosceva, richiamavano un mondo di avventure magiche e sono proprio queste fantasiose vicende che inserisce negli intervalli tra gli incontri degli innamorati e le eroiche vittorie nei tornei. È infatti probabile che, tra un torneo e l’altro, un vero cavaliere errante avesse abbondanza di tempi morti in cui non accadeva nulla [3]. Chretien Chretien sfugge alla prosaica realtà della vita di un cavaliere errante inserendo episodi fantastici che danno tensione narrativa alla storia e stimolano la curiosità del lettore, una sorta di invito a continuare la lettura che generalmente manca alle chanson de geste con il loro interminabile susseguirsi di battaglie e le monotone disquisizioni sui diritti feudali. Il pubblico che Chretien tiene tanto con il fiato sospeso, anche se non possiamo esserne assolutamente certi, deve essere quello dei cavalieri del suo tempo, uomini non troppo raffinati ma nemmeno estranei all’ambiente culturale [4]. Questo pubblico dunque doveva in un qualche modo comprendere il contenuto dei suoi romanzi, specie quando in buona parte ne era il protagonista principale e/o secondario. Le Conte du Graal, come lo chiamò Chretien, fu la sua ultima opera e i primi monaci che lo trascrissero e poi quelli che lo continuarono, lo ribattezzarono anche come Parcival (o Parzival in lingua tedesca, Perceval o Parsifal in inglese) in riferimento al nome stesso del cavaliere protagonista. Per Chretien, come abbiamo già detto, questo romanzo fu una novità, specie perché al di là della consueta storia d’amore, che non è ben definita, questo romanzo parla dell’evoluzione del cavaliere e della sua personalità.

 

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Un cavaliere destinato a cose grandi: Parsifal

La storia di Perceval inizia in un mondo che nulla ha a che vedere con la vita di corte e la cavalleria. Sua madre, avendo perso marito, figli maggiori mentre cercavano di coprirsi di gloria grazie ad imprese cavalleresche ed essendo rimasta con questo solo figlio decide, per proteggerlo, di tacergli di quel mondo per impedire, a tutti i costi, che suo figlio seguisse un destino analogo che certo l’avrebbe fatta morire di dolore. A dispetto delle congiure materne, per così dire, per salvare l’ultimo pargolo dalla fossa dei leoni, succede esattamente tutto il contrario e Perceval, durante una caccia nel bosco incontra dei cavalieri. Egli è però talmente ignorante, nel senso più buono del termine, che li scambia per angeli e loro a stento lo deridono. Angeli? No, essi sono cavalieri e uno di loro, forse compassionevole di tanta ingenua ed infantile ignoranza, gli parla della cavalleria, dei cavalieri ed il ragazzo, folgorato da tali racconti e descrizioni, entusiasta come un bambino davanti ad un giocattolo, decide di unirsi a loro. La madre supplica, piange, grida, si mena ma tutto è inutile e non riesce a trattenerlo dal partire e così l’unica soluzione è “farlo sviluppare” tutto in un colpo per salvarlo. In tempi in cui l’ingenuità può essere fatale perché si sa che i furbi sono i primi ad approfittare degli ingenui, la madre lo educa e gli da buoni consigli sul comportamento che egli dovrà avere con le donne e lo istruisce brevemente in materia di religione. Consigli di mamma, buoni e utili ma che il protagonista non ne segue uno a metà e ignorante in modo quasi completo, inebriato da racconti fiabeschi al limite della realtà, parte per la corte di Re Artù. Certo, compirà grandi imprese, ma solo dopo aver ricevuto umiliazioni, aver rischiato il linciaggio per aver baciato una fanciulla impegnata, che abbandona in preda alla furia dell’amante, ed essersi invaghito dell’armatura di un cavaliere a tal punto da mettersi in ridicolo davanti a tutta la corte con le minacce volte ad ottenere l’armatura stessa. Insomma, diventerà un grande eroe, certo, Chretien lo fa ben capire, ma solo dopo averne passate di tutti i colori. Una comica, qualcosa di grottesco e fin ridicolo la vita di questo giovane che è destinata però a cambiare radicalmente quando giunge a chiedere ospitalità ad un cavaliere, Gonerman che gli insegna l’uso della spada e il combattimento, il torneo e insomma, lo inizia alla cavalleria e lo fa pure cavaliere [5]. Perceval è ora un uomo nuovo e si rimette alla ricerca di avventure. Riesce a raggiungere un castello in rovina che ha come signore una bella fanciulla: Blancheflor [6] che è stretta d’assedio da un pretendente indesiderato; Perceval la riceve una notte che lei necessita di sfogare tutti i suoi guai, ad un uomo che sa appena di essere venuto al mondo reale (figuriamoci cosa avrà capito o frainteso di quello che gli ha detto sua madre ed il cavaliere Gonerman). I due si abbracciano e finiscono a letto, ma…qui c’è un “ma”. Non fanno niente, lui la accogliere semplicemente e castamente nel suo letto in attesa che si faccia giorno [7] e l’indomani Perceval sconfigge il pretendente e come avviene in tutti i romanzi di Chretien, il perdente viene inviato quale prigioniero alla corte del re, Artù. Perceval si ricorda improvvisamente della mamma, vuole raggiungerla e abbandona l’amata con la promessa, che non manterrà, di raggiungerla quanto prima. Scoprirà poi che la madre è morta dal dolore, per averlo visto partire, dopo tutti gli scongiuri che aveva fatto per impedirglielo; lui l’aveva salutata lasciandola svenuta al di là di un ponte. La narrazione del testo riprende e così le avventure; il momento della svolta decisiva è sempre più vicino. Il nostro eroe giunge ad un castello, il cui signore è nientemeno che il Re Pescatore, discendente diretto di Giuseppe d’Arimatea. Il Re Pescatore reca su di sé un'inguaribile ferita: sino a quando essa non sarà rimarginata regneranno sulla sua terra tristezza e carestia. In una sala del maniero, durante il banchetto, appaiono in successione diversi oggetti, tra cui una lancia sanguinante [8] ed il Graal. Ricordandosi le parole di Gonerman, il quale gli aveva consigliato di parlare e domandare il meno possibile, si risolve col non chiedere al Re Pescatore perché la lancia sanguinasse e a chi serviva il Graal, pur provandone l'impulso [9]. Al risveglio del nostro eroe è tutto sparito e non capisce si è sognato tutto o meno e dunque torna demoralizzato alla corte di Artù dove giunge pochi giorni dopo anche una fanciulla, Kundrie, bruttissima che maledice Perceval, poiché egli non ha posto la fatale domanda che avrebbe messo fine alle sofferenze del Re Pescatore, signore del Castello del Graal. Per colpa sua, il re non sarà in grado di governare il suo territorio, che subirà gli orrori della guerra.

 

Le mogli perderanno i mariti, le terre saranno devastate, le fanciulle saranno abbandonate all’angoscia e rimarranno orfane, e molti cavalieri moriranno; tutti questi mali accadranno per causa tua [10].

In vero non esiste alcuna magia e solamente la cruda realtà di un paese preda di incursioni nemiche. Il Re Pescatore è stato ferito in battaglia: presumibilmente i suoi nemici sono ancora lontani, ma siccome non può mettersi a capo delle sue truppe, il suo territorio non potrà mai respingere gli attacchi. Prima di andarsene la fanciulla sfida i cavalieri di Artù ad andare a liberare la signora di Montesclaire ; quasi subito però arriva un altro messaggero, un cavaliere che accusa Gawain [11] di aver ucciso a tradimento il suo signore. I cavalieri si disperdono e ha inizio un’altra avventura (che darà vita a vari filoni dell’intera vicenda, anche nelle continuazioni). Perceval decide di partire anche lui, ma prima giura, fa voto che:

 

Per tutta la vita non avrebbe trascorso due notti consecutive nello stesso posto, né avrebbe udito parola di un passaggio pericoloso senza tentare di superarlo, né avrebbe udito di un cavaliere più forte di qualsiasi altro senza andare a sfidarlo, finchè non avesse saputo a chi era destinato il Graal e non avesse trovato la lancia sanguinante e scoperto il vero motivo per cui sanguinava; non avrebbe mai rinunciato, qualunque cosa potesse accadere [12].

 

Durante una lunga serie di nuove avventure, egli dovrà rendersi degno di ritrovare il Graal, ponendo rimedio al suo errore e salvando così la terra malata e il Re Pescatore. Incontra un eremita, fratello del Re Pescatore, che lo confessa durante la Quaresima e rinnova i suoi sentimenti religiosi, che aveva perso durante il cammino. Perceval viene a conoscenza della sua appartenenza alla Famiglia del Graal e che il Re Pescatore è suo zio. Era lui il predestinato al Graal [13]. Qui si ferma il racconto, rimasto incompiuto. Diversi autori hanno tentato di dare una risposta ai quesiti lasciati da Chrétien, ma nessuno saprà mai realmente come sarebbe andata a finire la storia. Ci furono svariate continuazioni[14], lunghe e spesso contrastanti tra loro essendo state redatte da diversi autori e in diversi periodi; furono scritti volumi e volumi su questa storia con le più fantasiose e rocambolesche vicende dei personaggi in un intreccio sempre più intricato e confuso. La storia iniziale è sempre la più bella rispetto ai sequel che trasformano spesso le vicende stesse in farse, le quali però all’epoca erano ugualmente apprezzate dal pubblico.

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I dipinti del castello e i costumi

Come per Tristano ed Isotta anche questi dipinti traggono ispirazione dalle opere di Wagner che a sua volta si ispirò probabilmente all’opera originale di Chretien de Troyes, ma non solo, anche alle continuazioni. Vi sono infatti alcuni dipinti che mostrano alcuni autori delle continuazioni tra cui Wolfram von Eschenbach [15] ed Hendrik van Veldeke [16] due poeti tedeschi vissuti nella seconda metà del XII secolo e probabilmente la loro presenza nei dipinti riferiti alla storia di Perceval e del Graal non è casuale.

 

Figura 1 – I poemi tornano ad Hendrik van Veldelke

 

Veldelke sarebbe morto prima di Eschenbach e viene citato da quest’ultimo come un grande poeta e inoltre non avrebbe scritto opere medievali ma opere ispirate al mondo classico. Questa mescolanza nell’arte e nei dipinti di epoche diverse è tipico dell’Eclettismo [17], presente in tutto il castello di Neuschwanstein. I costumi dipinti sembrerebbero richiamare l’Alto Medioevo anglosassone, specie la tunica verde che riprende intrecci e motivi celtici, il mantello di fattura semplice, con piccole decorazioni ai bordi è tipico del periodo altomedievale e consisteva di un semicerchio chiuso sulle spalle con una fibbia o un laccio e anche le calzature sono dello stesso periodo. Il secondo uomo, che deve essere probabilmente Wolfram, stando anche alle didascalie del castello, indossa una magnifica tunica più tipica invece della fine del XII secolo e degli inizi del XIII, con le strisce oblique ed il bordo magnificamente decorato; mente il mantello è chiuso sul davanti con una specie di mantellina in pelliccia di ermellino [18] ed un copricapo tipico del XIV secolo e dunque bassomedievale. Come nei dipinti di Tristano ed Isotta, non viene preso in considerazione un periodo particolare del Medioevo per disegnare i costumi, ma vengono messe insieme diverse tendenze di moda che riescono a creare insieme, qualcosa di armonico. Si osserva infatti che ci sono spesso personaggi in una stessa scena che indossano abiti riferibili a periodi diversi della moda medievale.

 

Figura 2 – Klinsor. Mago, nemico del Santo Graal. Sulla cima di una montagna, detta Monsalvato, il vecchio Titurel [19] ha fondato un eremo inaccessibile di pace. I puri di cuore vi trascorrono una vita ritirata e casta, attingendo forza dalle sacre reliquie che Titurel custodisce nel monastero: il Graal - il calice con cui Cristo bevve nell'Ultima Cena - e la Lancia Sacra che ferì il Salvatore sulla Croce. Con questi tesori, i cavalieri difendono il bene nel mondo e accolgono coloro che si dimostrano capaci di comprendere la virtù. Anche Klingsor avrebbe voluto arruolarsi nella pia congregazione ma, non riuscendo a reprimere dentro di sé il richiamo del desiderio, ha conservata la castità mutilandosi con un gesto terribile. Ciò ha determinato la sua condanna. Trovandosi preclusa la strada della salvezza, Klingsor è stato sedotto dal lato oscuro della fede, convertendo in magia nera la virtù dello spirito cristiano. Egli ha quindi trasformato le pendici del monte in un giardino pieno di delizie, dove donne di grande bellezza attirano i cavalieri del Graal soggiogandoli al loro potere. Anche il figlio di Titurel, Amfortas, è caduto miseramente nella trappola, abbandonandosi tra le braccia della più insidiosa tra le donne del giardino, "Kundry", la cui doppia identità è misteriosamente sospesa tra il bene e il male. Klingsor ha ferito Amfortas con la Lancia Sacra, ripromettendosi di conquistare un giorno il Graal. Tornato al monastero, Amfortas è torturato dalla piaga insanabile e i cavalieri sono condannati a languire con lui.

 

Nella scena qui raffigurava vediamo una corte dove i costumi simili a quelli della scena precedente per la figura di Wolfram che lo ritroviamo anche in scene successive, anche se il copricapo rimane circa lo stesso mentre il costume femminile della dama è tipico degli inizi del XII secolo e di fattura semplice. Nella terza scena qui di sotto vediamo Wolfram intrattenere degli ospiti ad un banchetto, come se fosse lui il signore della corte, quando in realtà, il signore della corte dovrebbe essere, anche per via dello stesso costume – usato anche nei dipinti successivi – proprio Hermann I, Langravio di Turingia. La figura appare quella di un giovane sui trent’anni che indossa una tunica tipica della moda maschile altomedievale, specie della seconda metà del XII secolo; il mantello invece sembra di fattura più anteriore anche se l’allacciatura su un lato come quella sul davanti sono tipiche un po’ di tutta la moda medievale maschile, con tendenza nei paesi del nord ovest europeo (Francia e Inghilterra) ad essere portato più frequentemente su un lato [20].

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Figura 3 – Wolfram intrattiene la corte mentre Hermann intrattiene alcuni ospiti.

 

Da notare che la tunica di Hermann I nella scena successiva rivela un particolare che non fa parte della moda altomedievale, ma di quella bassomedievale, infatti in figura 3 vediamo una semplice tunica lunga quasi fino alla caviglia, non decorata se non al petto da un leone rampante, simbolo araldico di forza e coraggio; con il mantello chiuso su di un lato (sempre il destro) da una spilla. Nelle scene successive i costumi cambiano un poco e si arricchiscono di particolari. La tunica di Hermann I rimane essenzialmente la stessa anche se più ricca di particolari e diventa un indumento più tipico dei secoli XIV e XV che non dei precedenti. Anche gli abiti di Wolfram mutano diventando quelli più tipici dei secoli XIV e XV e il copricapo di pelliccia di Wolfram rimane sempre lo stesso in tutte le scene. Alcuni elementi sono dunque fissi mentre altri sembrano evolvere nel tempo arricchendosi via via che la storia di Parzival, nei dipinti del castello, prosegue. La scena che andiamo ora a vedere è quella in cui Wolfram parla con il conte Hermann I, probabilmente dell’opera che egli stesso sta scrivendo, il Parzival.

 

Neuschwanstein - Parsival life (10)a

Figura 4 – Wolfram e il suo signore, Hermann I, Langravio di Turingia

 

Ecco qui due uomini, uno sui trenta e l’altro probabilmente oltre i cinquanta, con magnifici abiti. Hermann I indossa una tunica molto simile a quella vista nella figura precedente che però ha ora delle decorazioni vicine al bordo, motivi semplici e floreali, qualche gioco di intrecci azzurri, probabilmente ricamati sul tessuto morbido e fluente. Sotto questa tunica si vede una specie di sotto tunica blu con magnifiche decorazioni dorate a motivi geometrici e floreali, simili a quelli della sopra tunica. Questa è una caratteristica del costume del tardo Medioevo, della fine del XIV e inizi del XV secolo.

 

Figura 5 – Motivo del ricamo sulla tunica

 

Figura 6 – Motivo dell’orlo della sotto tunica

 

Wolfram invece indossa una semplice tunica e solo il mantello è decorato agli orli con motivi geometrico-floreali e dorati, decorazione a sua volta semplice e poco elaborata. Il cappello di Wolfram rimane lo stesso mentre Hermann ha il capo scoperto e porta i capelli castani lunghi e leggermente mossi sciolti, secondo la moda del tempo. I mantelli dei due uomini sono chiusi da un lato con una serie di bottoni, altra caratteristica dei costumi del Basso Medioevo. Le calzature invece sono di un modello semplice, probabilmente di uso domestico (e non tutti se le potevano permettere) e tipiche un po’ di tutto il periodo medievale anche se i ritrovamenti presso gli scavi londinesi, hanno riportato alla luce alcuni reperti che fanno presupporre che il modello fosse più utilizzato nel periodo bassomedievale.

 

Figura 7 – Hermann I e un poeta a corte

 

In figura 7 rivediamo Hermann I e un poeta in una scena simile a quella precedente, ma questa volta possiamo ben vedere il volto del cavaliere; un bell’uomo di giovane età, probabilmente sui trent’anni, vestito in modo del tutto simile alla scena precedente con in più il particolare della manica della tunica, elaborata con motivi geometrici circolari. In testa egli porta una corona d’oro anch’essa di fattura semplice. Il dettaglio della tunica, rivelato dalla posizione del mantello è una caratteristica della moda, specie delle tuniche cavalleresche, del XV secolo. Hermann viene dunque raffigurato come un cavaliere e non sarebbe strano che la famiglia dei Langravi di Turingia, fosse anche una famiglia di cavalieri, specialmente se si considera che il loro castello di Wartburg viene citato anche dai Minnesanger. Quanto al poeta egli non è certamente Wolfram, la sua identità non è nota; il volto è cambiato in quello di un uomo oltre i cinquant’anni, uno scrittore probabilmente e gli abiti sono quelli di metà Quattrocento. L’uomo più anziano indossa una tunica che in inglese viene chiamata Pleated gown, dal medio inglese del XV secolo, si trattava di un indumento pesante (una sorta di sopra tunica) caratterizzato da pieghettature del tessuto che si appoggiavano le une sulle altre a livello centrale e poteva essere sia lungo (fino al ginocchio) sia corto (a livello inguinale). Le maniche di questa sopra tunica erano a sbuffo nell’attaccatura delle spalle e scendendo lungo il braccio si allargavano un poco e si dividevano in due pezzi per riunirsi verso il polso (circa 10-15 cm dall’orlo). Esternamente era realizzata in genere con tessuto pesante (velluto o lana) ed internamente, compresi gli orli era rivestita di pelliccia. Era una sorta di sopra tunica che fungeva anche da mantello, usata molto probabilmente nel periodo invernale, grazie all’apertura delle maniche permetteva un più agile movimento

 

Figura 8 – La tunica pieghettata tipica della metà del Quattrocento. Da notare le scarpe, lunghe e appuntite, piatte e senza tacco alcuni, note anche come pattens (dall’inglese medio del XIV secolo) erano praticamente degli zoccoli lunghi più del piede, realizzati in legno nella suola e rivestiti di pelle. Immagine tratta dal Medieval Tailor's Assistant: Making Common Garments 1200-1500 di Sarah Thursfield, pp. 150.

 

Quanto al copricapo dell’uomo anziano è molto simile a quello indossato da Wolfram nei precedenti dipinti, ed era un cappello tipico del XV secolo, con il risvolto spaccato e cucito in modo che non si vedessero le cuciture (double-face).

Nella scena successiva incontriamo di nuovo Hermann I, ma questa volta egli viene presentato come Gawain, è infatti possibile che Wolfram si sia ispirato a lui per creare il suo personaggio di Galvano, in inglese Gawain, o meglio la sua versione. Era tipico per poeti e scrittori del XII secolo incarnare i loro estimatori o protettori nei protagonisti principali o secondari delle opere e dei racconti che per loro componevano, specie se si considera che si trattava di cavalieri. La scena del dipinto che segue, stando anche alle didascalie reperite sul web, sarebbe quella del matrimonio di Gawain, nipote o cugino (a seconda delle versioni che si considerano) di Artù.

 

Figura 9 – Matrimonio di Gawain. Il pittore pare abbia voluto inserire, quasi a miscelare realtà ed epica, Hermann nel ruolo di Gawain (lo riconosciamo dai costumi). Egli porta accanto a sé una bella dama, con abiti sontuosi, tipici del Basso Medioevo, viste le decorazioni ed il copricapo.

 

La scena di figura 9 è quella di un banchetto nuziale, una festa, gli sposi arrivano a corte; probabilmente la corte arturiana e molti costumi sono quelli tipici del XIV e XV secolo, come quello verde della dama e quello oro e verde a maniche svasate sulla sinistra. In genere tutti i costumi sono del periodo appena detto; da notare in particolar modo il copricapo della dama con abito verde; una cuffia tipica di fine XIV secolo che raccoglie i capelli ed è coperta da un candido velo che cade indietro. I riferimenti storici con Hermann e Wolfram e la sua corte si iniziano a fondere con la saga arturiana del Graal. La presenza di Gawain nel quadro, vestito come Hermann è un altro fattore tipico dell’eclettismo presente nel castello di Neuschwanstein, ma forse anche un tentativo di ricordare l’antica gloria dei Langravi di Turingia, famiglia di cavalieri tedeschi e forse è un chiaro riferimento alle opere di Wolfram e alle altre continuazioni e versioni della storia del Graal e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Non va dimenticato che Gawain è uno dei cavalieri la cui vicenda fa parte della saga stessa del Graal, lui è il cavaliere della Lancia e uno dei filoni del Graal, nelle continuazioni del XII e XIII secolo parla è dedicato proprio a lui. Probabilmente in riferimento al prologo fatto da Wolfram, nel raccontare l’antefatto dei personaggi, nel Castello di Neuschwanstein, una delle prime scene non riguarda Perceval o Parzival direttamente, ma sua madre, Herzeloide quando viene chiesta in moglie da Gamuret.

 

Figura 10 – Gamuret chiede la mano di Herzeloide

 

La scena qui raffigurata mostra due personaggi, gli sposi futuri, che indossano costumi tipicamente altomedievali e del tutto sobri, poco sontuosi e privi di ogni elaborazione. Lei indossa una tunica semplice con un velo con soggolo e la corona mentre lui indossa una tunica verde lunga quasi fino ai piedi. La tunica di lui inoltre pare avere il cappuccio incorporato. Essi sono probabilmente immersi nel contesto di un padiglione da torneo del XII secolo e non in una corte; inoltre essi sono rappresentati secondo i canoni del fin amour, dove la donna è superiore in ogni cosa rispetto all’uomo. Herzeloide infatti è vestita come una regina mentre lui pare quasi uno scudiero o un piccolo nobile. Sullo sfondo a sinistra ed al centro vediamo due uomini vestiti secondo la moda e gli usi dell’XI secolo. Il cavaliere in particolare indossa una tunica ed un mantello rossi, semplici ed il mantello è chiuso sulla spalla da una fibbia. Solo il costume della dama sulla destra, che non si vede del tutto (quasi come se fosse una finestra su una scena vivente) è “fuori sincrono” rispetto agli altri, il cappello che essa indossa è infatti tipico della seconda metà del XV secolo, noto anche come cappello delle fate, era allungato in alto e realizzato in tessuto rigidissimo, con due bacchette in ferro probabilmente che scendevano aprendosi verso la fronte e sulle quali era posato il velo, spesso lungo.

 

Nella scena successiva Perceval è già nato, orfano di padre, con una madre dal cuore spezzato e quasi in perenne lutto. Sono le prime scene della vita del protagonista della saga del Graal. Perceval incontra i cavalieri mentre caccia nel bosco e affascinato dai loro racconti decide di divenire a sua volta cavaliere e partire alla ricerca di avventure.

 

Figura 11 – Incontro con i cavalieri. Il fanciullo indossa una comune tunica maschile e alle spalle un corno a tracolla, usato nella caccia per tutto il Medioevo. I cavalieri invece indossano tuniche ed uniformi più tipiche della fine del XII secolo (cavaliere con tunica rossa, in sella ad un cavallo andaluso) e del XIV (cavaliere con tunica blu).

 

In vero il fanciullo che avrà nemmeno venti primavere, non sa nulla del mondo, ma vuole partire a tutti i costi. Lo ritroviamo così nella scena, immortalata nel castello di Neuschwanstein, in cui saluta la madre Herzeloide.

 

Neuschwanstein - Parsival life (11)a

Figura 12 – Herzeloide saluta il figlio Perceval dopo averlo, inutilmente, scongiurato di non partire per timore che seguisse la sorte del padre e degli zii.

 

Figura 13 – Costumi da noi rielaborati ed ispirati al dipinto

 

Il fanciullo indossa una tunica scura in stile altomedievale con tanto di cappuccio, mentre sotto sono indossate delle brache o calzamaglie e scarpe che si allacciano alla schiava attorno al polpaccio. La donna invece indossa un abito da nobile, un abito molto austero a dire il vero di struttura semplice, una semplice tunica con gonna un po’ svasata e leggero strascico e alla vita una cintura semplice che però noi nel figurino abbiamo rielaborato in qualcosa di più dettagliato. La madre di Perceval, Herzeloide, pare quasi vestire a lutto e come periodo il costume è collocabile tra la seconda metà del XII e gli inizi del XIII secolo, anche se come modello fu utilizzato più o meno per tutto il periodo medievale. Anche il copricapo è collocabile nello stesso periodo e consisteva di tre pezzi: la cuffia con collo alto ed il velo. La cuffia comprendeva una specie di soggolo ampio che copriva in parte anche le spalle, era aperto dietro al capo ad altezza delle ossa occipitali e parietali del cranio, chiuso con dei lacci; infine il velo era di forma ovoidale, grande e in tessuto molto leggero come seta, fissato alla cuffia con delle spille.

 

Figura 14 – Struttura del soggolo e cuffia con il velo

 

Di sottofondo si vede una donna, una serva probabilmente che indossa una tunica povera con un copricapo tipico un po’ di tutto il costume popolare per tutto il Medioevo, realizzato probabilmente in lino o canapa e dunque era abbastanza rigido e poco fluente. Questi copricapi spesso avevano un’estremità prolungata che serviva anche da soggolo e la tunica è un modello semplice: lo stesso, anche se meno raffinato, della sua signora.

Iniziano le avventure di Perceval o Parzival, a seconda della tradizione (francese o germanica) che vogliamo seguire e lo ritroviamo già cavaliere alla corte del Re Pescatore, nella celebre scena in cui compaiono le due reliquie: la lancia che sanguina ed il Graal.

 

Figura 15 – Perceval alla corte del Re Pescatore. Durante il banchetto un corteo porta la lancia che sanguina ed il Graal, ma Perceval, per timore di domandare troppo, come gli era stato insegnato, non pone la fatale domanda. Il Re Pescatore è l’uomo malato seduto sulla specie di portantina al centro e sullo sfondo, mentre Perceval, rappresentato ora come uomo, è il cavaliere dietro alla dama del Graal.

 

La scena descrive una piccola corte più tipica dell’alto che del Basso Medioevo, per quanto riguarda i costumi, fatto salvo la fanciulla del Graal che indossa una tunica magnificamente elaborata e tipica dei secoli XIV e XV con le maniche svasate [21] e merlettate all’orlo. L’ambiente raffigurato invece sembra ispirarsi ad alcune stanze presenti nel castello stesso di Neuschwanstein in cui si vedono soffitti tempestati di stelle e colonne colorate.

La scena presentata è quella della domanda fatale che il protagonista non formula per paura di essere indiscreto, di apparire inopportuno e proprio qui sta il suo fallimento. Nella scena che andiamo a vedere ora il nostro protagonista viene raggiunto alla corte di Artù da Kundrie (in alcune versioni Kundry), una terribile fanciulla, bruttissima che porta a Perceval la notizia degli effetti della sua mancata domanda.

 

Figura 16 – Kundrie reca a Perceval la notizia della sofferenza del Re Pescatore e le conseguenze della sua mancata domanda.

 

Ad eccezione delle dame sullo sfondo, che indossano costumi più tipici dell’Alto Medioevo, gli altri costumi sono tutti bassomedievali, specie quello di Kundrie [22], che non vediamo in volto. Essa è vestita come una dama del Quattrocento con tanto di cappello da fata e velo che ricade sul volto. Il fatto che il velo sia scuro è ovviamente per celare il suo orribile volto [23]. Anche Perceval ed Artù indossano costumi tipici dei secoli XIV e XV, adatti più ad una corte, in cui si trascorre quasi tutto il proprio tempo che nemmeno ad un ambiente cavalleresco.

I quadri che abbiamo scelto ripercorrono la storia di Chretien, a grandi linee, e l’ultimo quadro che è quello che andiamo a vedere e che sta alla fine della storia è quello in cui l’eroe dopo una serie di avventure, giunge all’eremo dove ritrova la sua fede religiosa e viene confessato dall’eremita; qui Perceval apprende il suo vero destino e la sua vera origine: lui è il cavaliere del Santo Graal.

 

Figura 17 – Perceval e l’eremita, una delle ultime scene riferite alla saga del santo Graal

 

Nella scena che vediamo il nostro eroe non è più un ragazzino ma un giovane di poco più di venti primavere, forgiato dai propri guai e dalle avventure vissute. Egli indossa una tenuta tipica dei primi tornei, di fine XII secolo (più si prosegue verso la fine del Medioevo e più le armature sono pesanti e complete sopra la cotta di maglia). Sopra indossa una semplice tunica con mantello abbinato, entrambi di colore rosso intenso, rosso sangue, realizzati in tessuto medio pesante, spesso lino. Il costume dell’eremita è invece molto semplice e non riferibile ad una divisa o uniforme di qualche ordine, specie se si considera che gli eremiti vestivano in modo poverissimo, fino a coprirsi praticamente di stracci che stavano insieme appena.

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Fonti bibliografiche

 

  • Graal di Richard Barber, Piemme ed., 2004 – 542 pp. (pp. 25- 42)
  • Medieval Tailor's Assistant: Making Common Garments 1200-1500 di Sarah Thursfield. Quite Specific Media Group Ltd ed., 2001 – 224 pp.
  • Shoes and pattens di F. Grew e M. De Neergaard. Museum of London. Boydell Press ed., 2001 – 160 pp.

 

Note

[1] la Dama della Fontana, è un personaggio del ciclo arturiano che compare nel poema Yvain, il Cavaliere del Leone di Chrétien de Troyes e in altre opere basate su quella di Chrétien, come il racconto gallese Owain, o la Dama della Fontana o quello tedesco Iwein di Hartmann von Aue. Laudine era la signora del mistico castello di Landuc, ubicato nei pressi della foresta di Brocéliande. Sposò il cavaliere della Tavola Rotonda Sir Ywain, uccisore di suo marito Esclados (vedi il personaggio di Lunete), guardiano della fontana magica del luogo, che aveva sconfitto il cugino di Ywain, Calogrenant. Dopo averlo scacciato in seguito a una promessa da lui non mantenuta, Laudine si riconciliò con lui.

[2] Forse Chretien aveva già in mente, all’epoca di Cliges, il romanzo di Perceval e del Graal, ma doveva probabilmente mettere a punto alcune cose prima di scrivere la sua opera, un progetto in cantiere dunque che presto sarebbe stato realizzato. Tra i due romanzi infatti la differenza di tempo non è tanta, anzi, Le Conte du Graal sarebbe addirittura primo (1175) rispetto a Cligès (1176), ma il primo fu scritto in un ampio arco di tempo e terminò, incompiuto, con la morte di Chretien nel 1190. Anche Yvain sarebbe stato composto nello stesso periodo. Possiamo dunque supporre che Chretien abbia scritto la sua ultima opera, prima di morire, contemporaneamente alle altre e sarebbe difficile stabilire un preciso ordine cronologico delle sue opere.

[3] A questo proposito, quello che più gli si avvicina è forse lo stile di William Marshall, la cui autobiografia descrive la sua carriera cavalleresca, per altro le sue imprese sono spesso narrate in modo umoristico piuttosto che romantico.

[4] Questo fattore indica che nel XII secolo anche la classe militare, indipendentemente che si trattasse di cavalieri, spesso di nobili natali, aveva avuto accesso ad un’istruzione, se pur minima, che ne faceva così un potenziale pubblico da formare, perché no, anche attraverso la letteratura. È ragionevole ipotizzare che le canzoni di gesta fossero recitate o lette a voce alta, in altri casi cantate e i racconti erano suddivisi a puntate per intrattenere meglio il pubblico stesso.

[5] Ciò non va confuso con l’omaggio vassallatico. Si giunse ad un punto in cui le due cerimonie erano separate e l’investitura a cavaliere era una cerimonia oltretutto simbolica, più dello stesso omaggio vassallatico che ad un certo punto divenne ereditario e scomparve.

[6] Tradotto Biancofiore.

[7] Contrariamente ai romanzi sul fin amour, non ci sono scene di amore carnale e appassionata sessualità; argomento tabù nella reale società (popolo soprattutto) del XII secolo, ma al tempo stesso molto in voga nelle corti letterarie e nei romanzi.

[8] Potrebbe trattarsi della Lancia del Destino o Lancia di Longino (in latino Lancea Longini) è la lancia con cui Gesù sarebbe stato trafitto al costato dopo essere stato crocefisso. Viene talvolta anche indicata con l'espressione Lancia Sacra, che però indica anche una reliquia specifica, appartenente ai tesori del Sacro Romano Impero, la cui tradizione è in parte sovrapposta a quella della Lancia di Longino. Non sappiamo però con precisione se la lancia citata da Chretien sia quella del Destino, egli non ne fa menzione, anche se la correlazione è facile e intuibile se si considera che il Graal era nelle prime leggende medievali il calice con il sangue di Cristo, raccolto dopo la deposizione dalla croce per opera proprio di Giuseppe d’Arimatea. 

[9] Questi oggetti, infatti, venivano portati in una stanza celata ai suoi occhi, all'interno della quale stava il padre del Re.

[10] Le Conte du Graal. XIX e XV.

[11] Galvano, cugino o nipote di Artù a seconda della versione; uno dei cavalieri più importanti e valorosi a corte

[12] Le Conte du Graal. XIX e XV.

[13] A volte in letteratura il cavaliere del Graal si sarebbe chiamato Galahad e non Parsifal o Parcival, a seconda della lingua dell’opera; tuttavia la maggior parte delle fonti cita come protagonista Parcival e Galahad sarebbe un altro personaggio. Essendo anche la storia del Graal di origini probabilmente celtiche

[14] Fu anche scritta una specie di introduzione alla storia dei personaggi, un prologo; ad opera di Wolfram von Eschenbach in cui sono presenti anche scene precedenti la nascita di Parzival, a cui si ispirò Wagner al quale a loro volta si ispirarono i pittori del castello di Neuschwanstein.

[15] (Eschenbach, 1170 ca. – 1220 ca.) è stato cavaliere alla corte di Turingia nonché uno dei più grandi poeti tedeschi del Medioevo.La sua fama è dovuta principalmente alla composizione, avvenuta attorno al 1210, di un poema cavalleresco sul Sacro Graal intitolato Parzival. Oltre a questo poema, di cui ci sono pervenuti circa 25.000 versi, vengono attribuiti al poeta tedesco anche i poemi epici Willehalm e Titurel, chiaramente incompiuti, e l'opera Wachter Lieder, una raccolta di poesie di ispirazione provenzale.

[16] (Veldeke, 1150 ca. – dopo il 1184), è stato un poeta fiammingo, il primo poeta dei Paesi Bassi che conosciamo con il suo nome e che scrisse in una lingua europea, invece che in latino. Le date esatte della nascita e della morte non sono note. Deve essere nato intorno al 1150, perché fu attivo come letterato dal 1170. Certamente morì dopo il 1184, perché nella sua opera Eneas dice di essere stato presente alla cerimonia di corte che l'imperatore Federico Barbarossa organizzò a Magonza il giorno della Pentecoste di quell'anno. Inoltre deve essere morto prima che Wolfram von Eschenbach scrivesse il suo Parzival, opera completata tra il 1205 e il 1210: infatti in quell'opera Wolfram dice che Veldeke morì prematuramente. Probabilmente Valdeke apparteneva a una famiglia nobile. L'esistenza di una tale famiglia è menzionata in documenti del XIII secolo. Sicuramente ricevette un'educazione di alto livello: questo si deduce dal fatto che per le sue opere usò fonti latine.

[17] L'atteggiamento di chi sceglie in diverse dottrine ciò che gli è affine e cerca di armonizzarlo in una nuova sintesi. In architettura l'eclettismo definisce quelle architetture legate ad una concezione storicistica dell'architettura da un lato e che nel contempo tendono ad un'unità sincretica, con la mescolanza di elementi ripresi da diversi movimenti storici ma anche esotici e contemporanei. Le prime manifestazioni si verificarono nell'Inghilterra settecentesca e perdurarono per tutto l'Ottocento e parte del Novecento. Nelle manifestazioni dell'eclettismo del primo ottocentesco le forme riprese erano in generale quelle classiche. Infatti si sviluppò principalmente l'Architettura neoclassica che si manifestò con il recupero di concetti e forme del classicismo greco (architettura neogreca), del Rinascimento (architettura neorinascimentale) e del Barocco (architettura neobarocca). Nei decenni successivi si svilupparono delle tendenze di recupero dell'architettura medievale che si manifestò con l'Architettura neogotica, neoromanica e neobizantina. Il termine fu introdotto nel 1700 da Johann Joachim Winckelmann, teorico del neoclassicismo nelle arti figurative per indicare l'opera dei Carracci e la dottrina estetica da essi propugnata.

[18] Adottato nei costumi solo nel Duecento, prima anche nei romanzi di Chretien troviamo più spesso pellicce di zibellino, interamente bianco e più prezioso, essendo anche molto raro.

[19] Custode del Graal, nominato per la prima volta da Wolfram von Eschenbach. Titurel rappresenta una sorta di antefatto, a cui si ispirò anche Wagner, della storia del Graal e dei personaggi dell’autore stesso. Titurel è il re, custode del Graal ferito. Titurel è stato scritto dopo il 1217, come indicato dalla sua menzione della morte di Hermann I, Langravio di Turingia avvenuta quello stesso anno. L’opera sopravvive in tre frammenti uno dei quali parla anche dell’amore tra il giovane cavaliere Schionatulander e la principessa Sigune, nipote di Titurel e cugino di Parzival

[20] Nella moda carolingia il mantello veniva portato solitamente con il laccio od una fibbia soprattutto su di un lato senza cappuccio e che questa tendenza andò scomparendo per un certo tempo procedendo verso sud-est, quindi nel Mediterraneo. Nell’Inghilterra anglosassone, come si può dedurre anche dalle immagini dell’Arazzo di Bayeaux, che sono tra le poche fonti della moda anglosassone, il mantello era portato per lo più su un lato, una spalla per la precisione e in questo modo poteva essere gettato all’indietro per agevolare il movimento, anche se la forma suggerisce più una funzione termo protettiva che nemmeno estetica. Il mantello portato con la chiusura su un lato e non davanti sembra derivare non dalla moda carolingia in cui tale tendenza era diffusa, ma dalla moda bizantina. Infatti nei mosaici bizantini tra i quali anche quelli della Basilica di San Vitale di Ravenna i mantelli di alcuni funzionari sia accanto a Teodora sia accanto a Giustiniano sono portati su di un lato.

[21] Le maniche svasate non sono tipiche di un periodo piuttosto che un altro del Medioevo, ma furono caratteristiche di alcune tendenze di moda del periodo medievale in generale.

[22] Kundrie o Kundry non viene così chiamata se non nelle opere successive, le continuazioni, poiché nell’opera originale di Chretien il nome della damigella non compare.

[23] In vero anche dell’aspetto della fanciulla abbiamo notizia solo nelle continuazioni e non nell’opera originale.

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